mercoledì 8 marzo 2017

Abolire i sindacati, per il bene dei lavoratori

"Abolire i sindacati? Ma sei matto? E la libertà sindacale?...La libertà di associazione?... e chi difenderà i diritti e gli interessi dei lavoratori?.."

Sì, bisogna abolire i sindacati, o quanto meno gli attuali sindacati, l'attuale sistema sindacale, e proprio per difendere la libertà sindacale, per garantire la libertà di associazione, proprio per il bene dei lavoratori; per assicurare a tutti i lavoratori la migliore rappresentanza dei propri interessi.

Perché bisogna dire le cose come stanno: i sindacati, questi sindacati, con la libertà sindacale, con la libertà di associazione, e con la difesa dei diritti e dei lavoratori non c'entrano proprio nulla.
Almeno, non più. E da molto tempo.

"Ma ci sono certi diritti che non puoi tocc..."
Attenzione: anche i diritti feudali erano diritti, ma nessuno oggi metterebbe in dubbio che è stato un bene abolire quei diritti.
Perché ai diritti dei sindacati – veri 'feudatari' della nostra epoca – bisogna preferire la libertà e i diritti dei singoli lavoratori.


Si potrebbero spendere molte parole, fare molti ragionamenti, per sostenere questa tesi, ma è molto più efficace far parlare i fatti:

A cosa servono i sindacati? "A garantire migliori condizioni di lavoro, per ottenere salari più alti", direbbe il sindacalista.
Mi sta bene, allora ragioniamo su questo punto.

Ammettiamo che in Italia ci siano dei sindacati molto forti, validi, che riescano ad ottenere alti salari, buone condizioni di lavoro, diritti. Non avremmo nulla in contrario: i sindacati hanno raggiunto i loro scopi, e con essi i lavoratori.
Certo, bisognerebbe valutare quali conseguenze quei "successi" potrebbero avere.
Gli alti salari potrebbero essere anche "eccessivi", forse togliendo risorse alle imprese, che non potrebbero più investire, e quindi aumentare la propria produttività, e perderebbero quote di mercato... in pratica, quei "successi" momentanei potrebbero - dico, potrebbero - tradursi, alla lunga, in "insuccessi", e per gli stessi lavoratori.
Oppure, ed è quello che sostengono molti economisti, gli alti salari potrebbero accompagnarsi a bassa occupazione (se un lavoratore mi costa tanto, allora devo impiegare meno lavoratori).
Ma non dilunghiamoci troppo su questa ipotesi.
Ragioniamo su quella opposta:
Ammettiamo che in Italia ci siano dei sindacati che... non riescono nemmeno ad ottenere questo: i salari sono bassi, le condizioni..non buone, e i diritti si riducono...e per giunta la disoccupazione è alta. Vi sembra famigliare?
In quel caso, cosa dire dei sindacati? Sicuramente che hanno fallito il loro scopo, la loro funzione. E quindi che è ora di cambiare sistema.

Questa è proprio la situazione che abbiamo in Italia.
Ecco perché bisogna abolire i sindacati.
Certo, si potrebbe obiettare che quei "sindacati molto forti" in realtà sono "molto deboli", ma è a sua volta una tentativo di difesa molto debole, visto il ruolo dei nostri sindacati.


Ripetiamo alcuni FATTI. Per chi ha scarsa memoria.

La retribuzione netta media in Italia valeva, nel 2015, 27.808 $ (a parità di potere di acquisto) di poco superiore a quella greca (25.927 $, -1.881 $ di differenza).
Quelle spagnole valgono 31.037 $ (3.229 più di quelle italiane), 32.762 $ quelle francesi (4.954 in più di quelle italiane), 36.194 $ quelle tedesche (+8.386), 37.899 $ per USA (+10.091), 39.381  $ per quelle britanniche (+11.573), 57.756 $ quelle svizzere (+29.948), in quest ultimo caso più che doppie rispetto a quelle italiane.



Ma da cosa dipendono queste basse retribuzioni? principalmente da due fattori (anzi tre):

1) In primo luogo, dalla produttività delle imprese, ovvero da quanto le imprese (di qualsiasi tipo) riescono a produrre con una certa quantità di lavoro e capitale:
Se le imprese hanno una produttività più alta, potranno pagare retribuzioni (anche) più alte.

2) Data poi una certa produttività, la "quota" che il dipendente potrà ottenere come remunerazione del proprio lavoro, dipenderà dal proprio potere contrattuale.

3) Infine, visto che sul lavoro pesa sempre un certo peso (cuneo) fiscale, la retribuzione netta dipenderà anche da come questo cuneo sarà ripartito tra imprese e dipendente (ma in fin dei conti anche questo risultato dipende sempre dal relativo potere contrattuale).

Guardando al primo fattore, l'azione sindacale non ha ovviamente il potere di modificare direttamente la produttività delle imprese, ma esiste comunque una azione indiretta, specie quando i sindacati rivestono un ruolo 'nazionale': le diverse scelte sindacali possono indirizzare verso una certa 'politica industriale', favorendo certe industrie o certi settori, e possono quindi favorire o contrastare la crescita della produttività, sia a livello della singola impresa, sia nell'intero sistema produttivo.
Sugli altri due punti, i sindacati hanno evidentemente un ruolo diretto.

Ebbene, le basse retribuzioni italiane derivano sia da una bassa crescita delle produttività generale, sia da una bassa partecipazione delle retribuzioni alla produttività creata (e quindi anche da un maggior peso del cuneo fiscale a carico dei dipendenti), ovvero ad uno scarso potere contrattuale.

Riguardo alla produttività delle imprese, vediamo come è cambiata negli ultimi anni.


La produttività reale in Italia è cresciuta molto debolmente fino al 2000, poi si è praticamente fermata.
Credete che i sindacati con questo risultato non c'entrino nulla?

Riguardo alla quota che riesce ad ottenere il "salario" sul valore aggiunto prodotto, possiamo vedere questi grafici, relativi al costo del lavoro e alle retribuzioni lorde in rapporto al valore aggiunto per diversi paesi, ottenuti sommando i dati Oecd per le imprese finanziarie e non finanziarie (imprese con più di 5 dipendenti).




Cosa dicono questi grafici? Credo si veda bene.
Che il costo del lavoro italiano (e le retribuzioni lorde)  in rapporto al valore aggiunto prodotto, risulta, da molto tempo, molto basso.
Fino alla crisi, una impresa (o 'banca') in Italia che produceva 100 (di valore aggiunto) pagava 50 il lavoro utilizzato per produrre quel valore aggiunto. Altrove, per produrre 100, si pagava 60-65.
Poi le differenze sono scese.

In un altro articolo avevamo anche provato a stimare le retribuzioni nette, sempre in rapporto al valore aggiunto (questa volta con elaborazioni limitate alle sole imprese non finanziarie), con questi risultati :




Cosa significano questi dati? Che, a parità di valore aggiunto, a parità di produttività, in Italia, e da molto tempo, i lavoratori hanno un potere contrattuale molto più basso rispetto a tanti altri colleghi di altri paesi. E perché? Si potrebbero ricercare mille cause diverse. Prendiamo la più semplice: Se i contratti li fanno i sindacati, la colpa non può che essere dei sindacati.
Per incapacità? Per complicità (con altri interessi che non sono quelli dei lavoratori)?
Probabilmente per entrambe.

E si noti. Abbiamo parlato anche di cuneo fiscale.
Le retribuzioni nette in Italia sono basse anche per l'alto cuneo fiscale.



Si sentono spesso molti imprenditori lamentarsi proprio dell'alto cuneo fiscale, sostenendo che questo riduce i salari netti, ed aumenta il costo del lavoro. Certo, potrebbe anche aumentare il costo del lavoro, potrebbe: dipende da come si ridistribuisce quel cuneo. Ma i dati sembrano smentire questa interpretazione, visto che il costo del lavoro - rispetto al VA - resta comunque basso.
Quindi sì, il cuneo fiscale è altissimo, ma è a carico quasi completamente dei dipendenti.
Un altro fantastico successo dei sindacati.


Se quindi i sindacati non sono capaci di raggiungere gli obiettivi per cui sono nati ed esistono, questi sindacati non dovrebbero esistere: bisognerebbe togliere loro il potere di contrattazione e di rappresentanza, e restituirlo ai lavoratori, ovvero ai legittimi proprietari di questi diritti e interessi.

La libertà sindacale, la libertà associativa, non può che avere per fondamento i reali interessi dei lavoratori, non i giochi di bottega dei sindacati che danneggiano i lavoratori.

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