giovedì 17 novembre 2016

Bassi salari, e sindacati

Fino ad ora, nelle lettere precedenti, abbiamo analizzato le principali (per dimensioni) rapine operate dallo stato; ma queste sono soltanto quelle che avvengono in maniera diretta (e operate direttamente dallo stato), in maniera più visibile (perché basta analizzare e comprendere i bilanci pubblici).
Vi sono tuttavia altre rapine indirette, non operate direttamente dallo stato; per questo motivo, queste sono ancora più difficili da riconoscere (non solo nel senso di 'vedere e capire', ma proprio nel senso di 'riconoscerle ' come ingiustizie).
Oggi proveremo a parlare delle basse retribuzioni italiane, e delle cause di questo fenomeno.

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Nel 2015, secondo i dati Oecd, la retribuzione media (retribuzione da lavoro dipendente) in Italia è stata di 30.710 euro.
Proviamo a confrontarla con le retribuzioni medie degli altri paesi.
Quello che vogliamo, però, non è ovviamente un confronto sui lavori nominali (e su valute diverse), che avrebbe poco senso, ma "a parità di potere d'acquisto" .
Leggiamo quindi i dati Oecd in dollari PPP.
Con questa trasformazione i nostri 30.710 euro diventano 41.250 dollari (PPP, a valori 2015).




I 41.250 dollari delle retribuzioni italiane sono di poco superiori a quelle irlandesi (41.054 $) e spagnole (39.529 $), ma inferiori alla media Oecd (42.088 $), e ben lontane da quelle francesi (46.103 $PPP, con un differenza di 4.853 dollari rispetto a quelle italiane), americane (50.964 $PPP, 9.713 di  differenza), britanniche (51.431 $PPP, 10.180 di differenza), tedesche (59.987 $PPP, 18.736 di differenza), ... infinitamente lontane dai 69.887 $PPP delle retribuzioni svizzere, quasi 30.000 $PPP di differenza [solo per citare alcuni paesi].
Certo restano più alte di quelle greche, portoghesi, polacche, slovene, slovacche, etc.,, ma non eravamo tra le prime potenze industriali del mondo?

Quelli che abbiamo confrontato sono per giunta solo valori lordi (prima delle tasse);
considerando l'alto cuneo fiscale italiano, sarebbe più interessante prendere le retribuzioni nette: ovviamente il livello di tasse pagate, in ogni paese, dipende dalla tipologia di contribuente, perché a seconda delle sue caratteristiche esistono diverse forme di deduzioni, detrazioni, benefits, assegni integrativi, etc.
Generalmente il più tassato risulta essere il lavoratore single (senza coniuge o figli), mentre il carico fiscale effettivo si riduce all'aumentare della dimensione famigliare.
Possiamo così utilizzare i dati di due tipologie di contribuente, stimate dall'Oecd, il single e per il lavoratore con moglie (non lavoratrice) e due figli (famiglia monoreddito).
Questa è la situazione della famiglia monoreddito:




Le retribuzioni nette italiane scivolano dietro quelle spagnole (32.763 $PPP contro 34.004, 1.242 di differenza), ma restano sopra quelle greche (29.077 $PPP); nel caso di queste retribuzioni nette le differenze viste prima con gli altri paesi aumentano (quasi per tutti): 5.064 $ con la Francia (37.826 le retribuzioni nette francesi), 11.210 $ con quelle americane (43.973 retribuzioni nette), 9.187 $ con quelle britanniche (41.950); nel confronto con la Svizzera si passa addirittura a 34.224 $ di differenza (66.987 $PPP di retribuzioni nette), in pratica le retribuzioni nette svizzere risultano più che doppie rispetto a quelle italiane; scende invece la differenza con quelle tedesche, per il semplice motivo che il cuneo fiscale in Germania è suddiviso in maniera uguale tra azienda e lavoratore: 14.502 $ di differenza (47.265 $).

Questi invece i confronti nel caso del lavoratore single, il più "tartassato":



L'Italia scivola ancora più in basso: 27.808 $ la retribuzione netta media di un lavoratore senza carichi famigliari, poco sopra quelle greche (25.927 $, -1.881 di differenza).
Quelle spagnole valgono 31.037 $ (3.229 più di quelle italiane), 32.762 $ quelle francesi (4.954 in più di quelle italiane), 36.194 $ quelle tedesche (+8.386), 37.899 $ per USA (+10.091), 39.381  $ per quelle britanniche (+11.573), 57.756 $ quelle svizzere (+29.948), anche in questo caso più che doppie rispetto a quelle italiane.

Questa quindi la situazione delle retribuzioni italiane nei confronti internazionali
Ma quali sono le cause di queste basse retribuzioni?

Le cause

Generalmente ne vengono citate due: l'elevato cuneo fiscale sul lavoro italiano, e la bassa produttività. Entrambe vengono anche indicate come cause dell' alto costo del lavoro italiano (causa, secondo molti, della bassa competitività delle nostre imprese).
Possiamo dire fin da ora, che le 'credenze' sull'alto costo del lavoro italiano, sono quasi sempre soltanto "miti"; a basse retribuzioni si associa anche un basso costo del lavoro; ma lo vedremo meglio in seguito.
Molto spesso, infatti, si sente dire: "se le nostre aziende avessero la produttività delle aziende tedesche, allora avremmo anche i salari tedeschi".
Qualcun altro aggiunge anche:"se le nostre aziende avessero il costo del lavoro tedesco avremmo anche la loro competitività.

Proviamo quindi a fare un confronto proprio con la Germania per valutare la verità di queste affermazioni.
Utilizzando i dati Eurostat, prendiamo quindi il costo del lavoro e la produttività per Italia e Germania.
[La produttività è presa come valore aggiunto (al costo dei fattori) per occupato, mentre il costo del lavoro è il costo del personale per ogni dipendente. I dati si riferiscono solo al settore manifatturiero, sia perché più completi, sia perché, volendo associare questo indicatore alla 'competitività' delle imprese sui mercati internazionali, questa riguarda soprattutto questo settore, per ovvi motivi. I dati sono relativi all'anno 2014].



La produttività media delle imprese manifatturiere tedesche (nel 2014) è di 71.507 euro per occupato, quella italiana si ferma a 55.830 euro per occupato. I rispettivi costi per dipendente sono di 53.116 per i dipendenti tedeschi e 41.451 euro per quelli italiani.
Si trova inoltre che il rapporto tra costo del lavoro e produttività è praticamente identico.
Questo primo confronto, sembra quindi confermare quanto l'opinione pubblica (o vox populi) sostiene: in Italia abbiamo una produttività molto più bassa, e quindi è ovvio che i salari italiani siano così bassi.

Ma una prima analisi, fatta sui valori medi, non basta.
Il tessuto produttivo italiano, infatti, è costituito da moltissime imprese piccole e piccolissime, come mostrano i due grafici sotto.





...e considerando che la produttività aumenta generalmente con le dimensioni aziendali...




..è ovvio che le medie dipendano da questa diversa distribuzione, o struttura produttiva.

Per fare una analisi più corretta, occorre quindi estendere il confronto tra produttività e costi del lavoro almeno su aziende delle stesse dimensioni (ecco perché ci siamo serviti dei dati del settore manifatturiero, completi fino a questo livello di "dettaglio").
Abbiamo già mostrato la differente distribuzione nel numero di imprese, qui vediamo il valore aggiunto, in valore assoluto, e secondo la sua distribuzione per dimensione aziendale:





Si noterà che le piccole imprese italiane producono quasi lo stesso valore aggiunto tedesco, mentre il VA crolla per le medie e grandi imprese. 350 i miliardi di VA delle imprese sopra i 250 dipendenti, contro i 68 miliardi italiani.

Valutiamo ora la produttività (valore aggiunto per occupato), e costo del lavoro (per dipendente) secondo questa scomposizione per dimensione d'impresa.
[precisiamo che il confronto tra produttività e costo del lavoro unitario per aziende molto piccole perde quasi di significato, in quanto la prima è calcolata sugli occupati, mentre il secondo sui dipendenti, e ogni "apporto" di personale non dipendente (lo stesso imprenditore ad esempio) falserà questo rapporto. D'ora in avanti escluderemo quindi dal calcolo e dai grafici le aziende con dimensioni sotto i 10 dipendenti. Questa scelta è del resto in linea con la metodologia dei conti nazionali che generalmente distingue tra imprese industriali vere e proprie, sopra i 5 dipendenti, e quelle più piccole, comprese invece nelle 'famiglie produttrici'; categoria, quest'ultima, che per il caso italiano rappresenta il 98% - secondo il numero di imprese - dell'intero tessuto produttivo nazionale].



Come si vede, ad eccezione delle imprese sopra i 250 dipendenti, la produttività delle imprese italiane risulta superiore a quella tedesca.
E per il costo del lavoro e il rapporto costo del lavoro / VA?




Per le imprese con produttività superiore a quella tedesca (come visto tutte quelle sotto i 250 dipendenti) il costo del lavoro è, in valore assoluto, leggermente superiore, ma risulta ben inferiore in rapporto alla produttività (dai 20 dipendenti in su).
Di conseguenza, a quasi tutte le imprese italiane (sopra i 20 dipendenti), resterà una quota della produttività (margine operativo unitario) sempre superiore a quelle tedesche, anche per quelle con produttività più bassa (maggiore dimensione).

Abbiamo quindi trovato che, a parità di dimensione aziendale, la produttività italiana risulta superiore a quella tedesca (ad eccezione delle "grandi imprese"), e che il costo del lavoro in rapporto alla produttività risulta invece ben inferiore.
La cattiva performance della produttività media italiana, sembra quindi dovuta  alla bassa produttività delle imprese maggiori, e alla diversa distribuzione dimensionale; quindi più alla struttura produttiva italiana che alle capacità delle singole imprese (o gruppi di imprese dimensionalmente simili).

Per fare un confronto ancora più completo restano da calcolare i redditi netti, di ogni dipendente, per le diverse tipologie dimensionali, per vedere come incide anche il carico fiscale (cuneo fiscale).
Per farlo, utilizziamo i valori della tassazione globale media per livello di retribuzione forniti da Oecd (i valori sono relativi al 2015, ma possiamo tollerare questa 'imprecisione').
Anche in questo caso, come visto sopra, dovremo farlo su due tipologie di lavoratore differente: il lavoratore single (senza carichi famigliari), e quello con coniuge e 2 figli a carico (famiglia monoreddito).
Questi i risultati:





Come si può vedere, in quasi tutti i casi, le retribuzioni nette italiane sono inferiori a quelle tedesche, anche per quelle imprese delle classi dimensionali che mostravano produttività superiore a quella tedesca (la produttività resta 'visibile' nei grafici come altezza complessiva delle diverse componenti).
Il basso livello dei salari italiani, almeno da quanto indicato in questo confronto, non sembra dovuto quindi alla differenza di produttività, quanto alla diversa 'ripartizione' della produttività prodotta, tra dipendenti e imprese (o come si diceva un tempo, tra 'lavoro' e 'capitale'), ovvero, a quanto sembra, allo scarso potere contrattuale del dipendente italiano.
Questo scarso potere contrattuale opera sia sul livello generale della retribuzione, sia sul modo di 'ripartizione' del cuneo fiscale.
Infatti, le quote di ripartizione del cuneo fiscale "secondo la legge" (le norme fiscali che stabiliscono cosa sia "a carico" del dipendente e cosa sia a carico dell'azienza), è bene sottolinearlo, non hanno alcun significato economico, non contano nulla soprattutto per le tasche del dipendente o della azienda. Quel che conta è come questo "costo aggiuntivo" venga effettivamente ripartito tra dipendente o azienda, in fase di contrattazione, incidendo in misura minore o maggiore sulle retribuzioni o sul costo del lavoro finale.

Siamo partiti dal confronto con la Germania perché, come detto, questa viene spessa presa come termine di paragone, anche nei discorsi comuni, ma da quanto visto in precedenza, le differenze retributive con la Germania non sono nemmeno tra le pi ampie.
Possiamo quindi passare ad un confronto più generale con gli altri paesi.




I grafici qui sopra rappresentano (attraverso i dati Oecd) il rapporto tra il costo del lavoro e il valore aggiunto (e tra retribuzioni lorde e valore aggiunto) così come ottenuto dai dati generali di contabilità nazionale.
Precisiamo subito che questi rapporti non forniscono una rappresentazione del tutto corretta del fenomeno che vogliamo osservare: questi dati generali infatti contengono diversi contributi che 'deformano' i risultati; ad esempio, il valore aggiunto qui considerato contiene anche quello prodotto dagli autonomi – di cui per contro non si registra alcun 'costo del lavoro'; contengono inoltre, sia come 'costo' che come 'prodotto', le retribuzioni dei dipendenti pubblici; questi rapporti quindi richiederebbero quindi diverse 'correzioni', che qui non faremo; ci accontenteremo quindi di qualche valutazione generale.
Come si vede, dal 1970 il costo del lavoro su valore aggiunto è diminuito un po' in tutti i paesi; ma in Italia la diminuzione è stata molto più consistente, e già si partiva da un livello inferiore (qui si fa sentire la più alta percentuale di autonomi che operano nell'economia italiana).
Dal 2000 circa, quindi più o meno dall'ingresso nell'Euro il rapporto costo del lavoro / valore aggiunto, è tornato a crescere (torneremo su questo fenomeno in futuro), ma anche ora risulta tra i più bassi nel confronto.

Per valutare un rapporto costo del lavoro su VA più corretto (rispetto agli errori segnalati sopra) possiamo prendere questi dati limitati al settore istituzionale delle "imprese non finanziarie" (in pratica le industrie – non 'banche' – sopra i 5 dipendenti); purtroppo questi dati sono disponibili solo dal 1995.



Si noti che la diminuzione del rapporto tra costo del lavoro e valore aggiunto qui osservato (da dati di contabilità nazionale) trova conferma anche da un'altra fonte, le indagini Mediobanca sulle imprese italiane, monitorate - attraverso un campione di imprese - fin dagli anni '70.




Si può notare quindi che le imprese italiane hanno beneficiato per lungo tempo di un ampio "sconto" sul costo del lavoro (in confronto alla produttività).

Basso potere contrattuale: perché?

Possono esserci diversi fattori che influenzano questo minore "potere contrattuale" del dipendente italiano (andremo a ricercarne le diverse cause in futuro), ma è ben partire, per ora, dal più semplice e più diretto: i sindacati.

A cosa servono i sindacati?
Lo scopo dei sindacati, secondo la 'tradizione', dovrebbe essere quello di ottenere per i dipendenti le migliori condizioni possibili; difendendo quella che molti considerano la 'parte debole' della contrattazione, quindi, elevando il potere contrattuale dei dipendenti (anche attraverso forme di rivendicazione 'collettive', come gli scioperi).
Molti credono (e in questo caso l'opinione trova conferma in molti dati) che in Italia abbiamo dei sindacati "molto forti", troppo secondo alcuni.
Risulta quindi molto singolare trovare un basso potere contrattuale, all'origine delle basse retribuzioni, insieme a sindacati molto forti. Come si spiega?
All'argomento dedicheremo molte 'lettere' in futuro; per ora, accontentiamoci di proporre la spiegazione più semplice:


  1. I sindacati italiani sono del tutto "incapaci" (nel vero senso della parola) di svolgere questo ruolo e questo compito;
  2. I sindacati italiani, molto spesso, non fanno gli interessi dei lavoratori.


Ma in qualsiasi caso, i dipendenti ne ricevono, e da molto tempo, un danno enorme, perché invece di ottenere le migliori condizioni ottengono condizioni ben inferiori a quelle di altri paesi.

E' ovvio quindi che, se il problema delle basse retribuzioni italiane risiede nei sindacati, la soluzione non può che essere trovata cambiando il sistema sindacale (e di contrattazione).

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